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i Toscani hanno un modo d'inginocchiarsi, che è piuttosto uno stare in piedi con le gambe piegate
-malaparte-
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Il toscano è il più alieno dai discorsi, il più alieno cioè dal mettersi in una commedia, creduta soltanto a metà e condotta per divertimento o per aiutarsi a vivere. Egli non ti dà mai, come in altre parti d’Italia, la fiaba, il mito, la retorica di se stesso; anzi tende all’opposto, a smontare ogni retorica intorno a sé, con la parola e ancora più col silenzio.
(Guido Piovene)
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I toscani amano lo scherzo e la satira e le feste di piazza; coi carri mascherati che mettono in burla le meschinità o gli eccessi della politica o della vita. Rissosi talvolta, Meglio avere un morto in casa che un pisano alla porta, e legati al passato e alle tradizioni: dal Palio di Siena alla Giostra del Saracino, che non sono soltanto richiami per i turisti.
Enzo Biagi, su Il Corriere della Sera, 1998
L'elemento fondamentale del suo carattere [del toscano] è [....] l'esser spregioso: il che nasce dal suo profondo disprezzo per le cose e i fatti degli uomini, s'intende degli altri uomini.
Curzio Malaparte, Maledetti Toscani, 1956
Se è vero che nessuno ci disprezza (non essendo ancora nato, e forse non nascerà mai, l'uomo che possa disprezzare i toscani), è pur vero che tutti ci hanno in sospetto. Forse perché non si sentono compagni a noi (compagno, in lingua toscana, vuol dire eguale).
Curzio Malaparte, Maledetti Toscani, 1956
I toscani son come sono, son quel che sono, e quando son nemici son nemici per l'eternità, né si arrendono mai, neanche se li persuadi in cuor loro del contrario. Ma quando sono amici sono amici, e può cascare il mondo che l'amicizia non te la tolgono.
Curzio Malaparte, Maledetti Toscani, 1956
Gran virtù dei toscani, quella d'esser sboccati. E non la ritrovi soltanto in bocca ai beceri e alle ciane, ma in bocca a Dante, al Boccaccio, al Sacchetti, al Magnifico, a Machiavelli, e a Fazio degli Uberti, a Cecco Angiolieri, a Folgore da San Gimignano, per tacere del Berni, del Burchiello, dell'Aretino, del Lasca. Perfino in bocca a San Bernardino da Siena la ritrovi, quella virtù dei toscani.
Curzio Malaparte, Maledetti Toscani, 1956
Noi toscani siamo la cattiva coscienza d'Italia.
Curzio Malaparte, ibidem
La patria ideale di ogni toscano non è il Paradiso, ma l'inferno: soltanto laggiù si sente a casa sua, fra gente come lui, fra pari suoi, soltanto laggiù può essere gavazziere a suo piacere, e ridere di tutto, beffarsi di tutto e di tutti.
Curzio Malaparte, Maledetti Toscani, 1956
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I Toscani sono Maledetti per il loro carattere aspro, per la loro capacità di buttare in berlina anche le cose più serie del mondo, per il sentirsi sempre un gradino più in alto di tutti gli altri, anche se gli “altri” sono re, principi e Papi. Ed è una maledizione anche la “passionaccia” che provano per la loro terra, per quell’amore senza se e senza ma che li lega al suolo natìo, che difficilmente li spinge ad andar via dalla Toscana e che seppure lo fanno – per necessità, per lavoro – sempre indietro tornano
Scanzonati, ironici, dalla lingua sciolta e dalla battuta pronta, spesso mangiapreti, talvolta in preda a quella velata superbia che nasce dalla consapevolezza di vivere in una Regione dove i servizi funzionano, le università sono tra le più antiche d’Italia, gli ospedali sono all’avanguardia. Forse un po’ stretti di borsa, ma solo perché lo “sciupìo” del denaro e dei beni – propri e della collettività – non è cosa buona. Soprattutto, orgogliosi di essere toscani! Toscani abbarbicati alla terra di Toscana, alle proprie origini, consapevoli di discendere direttamente dagli Etruschi: che quando sui colli di Roma ancora si pascevano le pecore, questi avevano già un sistema sociale all’avanguardia, con le donne a trattare scandalosamente alla pari degli uomini.
cit. Malaparte
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L’umorismo e le battute sono un tratto caratterizzante dei toscani. L’ironia e il sarcasmo la fanno da padrona e questo può essere un po’ disorientante per chi viene da fuori. A volte la schiettezza viene scambiata per maleducazione, ma se starete al gioco apprezzerete di sicuro questo modo ironico e scanzonato di prendere la vita.
I toscani credono di palare un italiano perfetto, ed in effetti è qui che è nato e rispetto ad altri dialetti italiani è di certo uno dei più comprensibili. Nonostante ciò ma molte delle sue parole sono sconosciute al resto degli italiani. Oltre ad aspirare la c (che diventa un h) vengono usate spessissimo parole che ormai nel resto del paese non si usano più da circa qualche centinaio d’anni. Scoprirete che non solo la lingua italiana, ma anche il toscano ha mille sfumature.
Qui tutti amano discutere: politica, religione, calcio o qualsiasi altro argomento. Nei bar, giardini pubblici, fermate degli autobus insomma ovunque e dimenticatevi il politicamente corretto! Il vero toscano non sa cosa sia. Comunque non vi preoccupate, dopo essersi dati di bischero (sciocco) si va insieme a cena e amici come prima, qui il confronto con idee diverse è la norma.
I toscani sono molto orgogliosi della loro terra e tradizioni, e non finiranno mai di dirvi quanto la loro terra sia il miglior posto del mondo…non vi offendete sono come degli amanti gelosi! E non la smetteranno di ripetere quanto la loro cucina, formaggi, olio e vino siano buoni, la cosa vi potrà stancare ogni tanto, ma quando sorseggerete il vostro Chianti o Morellino davanti a un paesaggio toscano li perdonerete, forse non hanno tutti i torti.
http://www.learnintuscany.it/it/7-co...-vizi-e-virtu/
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pues pareciere que cristo se estaba yendo de varilla en ese momento... a tenor de lo visto...
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.. perché, dove e quando gli altri piangono, noi ridiamo, e dove gli altri ridono, noi stiamo a guardarli ridere, senza batter ciglio, in silenzio: finché il riso gela sulle loro labbra.
-Malaparte
Di fronte a un toscano, tutti si sentono a disagio. Un brivido scende nelle loro ossa, freddo e sottile come un ago. Tutti si guardano intorno inquieti e sospettosi. Un toscano apre la porta ed entra? Un silenzio impacciato lo accoglie, una muta inquietudine s’insinua, là dove prima regnavano l’allegria e la confidenza. Basta l’apparizione di un toscano, perché una festa, un ballo, un pranzo nuziale, si mutino in una triste, tacita, fredda cerimonia. Un funerale al quale prenda parte un toscano, diventa un rito ironico: i fiori si mettono a puzzare, le lacrime seccano sulle gote, le gramaglie cambian colore, perfino il cordoglio dei parenti del morto sa di beffa. Basta che fra il pubblico ci sia un toscano col suo risolino in bocca, e subito l’oratore si turba, la parola gli si sgonfia sulle labbra, il gesto gli si ghiaccia a mezz’aria.
-Malaparte
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Annibale in Toscana
L'idea che gli stranieri, a cominciar dal primo che fu Annibale, scesi a conquistar la Toscana, siano buffi nella loro tronfia superbia, è rimasta viva nel popolo, pur dopo tanti secoli. «Tu se' più buffo di Annibale» dicono i miei pratesi. Forse perché Annibale era fuligginoso, e aveva un occhio solo. E che dai toscani, assiepati sulle mura delle loro città a godersi la sfilata dei mori e degli elefanti, Annibale fosse accolto con grandi risate, è cosa certa, e nessuno verrà a dirmi che fosse sgarberia. Nessuna città toscana gli aprì le porte. E se Annibale volle dormire, gli toccò dormire fuori dell'uscio, se volle assaggiare del nostro vino, gli toccò comprarselo «co' su' chettrini», e se volle una donna gli toccò farsela venire dall'Africa: tanto, che una volta fuori della Toscana, non ci volle più rimetter piede, e preferì rimanersene a gironzolare e battagliare per vent'anni nelle Puglie e nelle Calabrie, dove, per mantenersi amici quei popoli, gli bastava dar spettacolo in piazza, la domenica, con i suoi elefanti ammaestrati.
Ripassar per la Toscana non era il caso, dopo quella bella accoglienza: rischiava di rimetterci l'occhio sano. L'altro lo aveva perso tra Massa, Montignoso, e Pietrasanta, o come altri vogliono, a Fucecchio, o nell'Osmannoro, che è la grande piana erbosa e paludosa tra Firenze e Prato: e dicono che ad accecargli l'occhio fu la malaria. Ma da quando in qua la malaria cava gli occhi alla gente? Lo perse perché qualcuno glielo levò. Senza quel brutto incontro, Annibale si sarebbe certo fermato in Toscana, come poi fece in Capua, a godersi l'aria fresca.
Ma se veder la Toscana gli era costato un occhio della testa, a rivederla ci avrebbe rimesso, come dicono a Prato, l'occhio del sedere, che è un gran bell'occhio. (Pensaci, Irene Pivelli!, N.d.R.) Mi ricordo di avere assistito da ragazzo, nell'Arena di Prato, che era a due passi dal Collegio Cicognini, a una tragedia in lingua pratese, chiamata "I cartaginesi". Annibale, tutto vestito di giallo con una benda nera sull'occhio perso, picchiava alla porta della città, che a guardarla bene somigliava alla Porta Pistoiese, quella da dove i pistoiesi entrano in Prato. (I cartaginesi, in Prato, sono sempre entrati, e sempre entreranno, per Porta Pistoiese).
«Tutti morti, costàe? O che 'un si bee?» vociava Annibale.
«Son passate le nove, va' a letto, bighellone!», rispondeva un pratese mettendo fuori la testa fra due merli delle mura. Quel pratese non era Stenterello, era Bernocchino, il più estroso e glorioso mendicante pratese, che nell'Arena di Prato faceva la parte che a Firenze, dove son di bocca buona, faceva Stenterello. Ai pratesi, e a tutti gli altri toscani, Stenterello, che è fiorentino, non garba. È una maschera che piaceva ai fiorentini del Granduca, che piace ancora ai bigotti, ai collitorti, ai grassimagri, ma agli altri toscani, massimamente ai pratesi, non è mai garbata. Stenterello ha il codino: e quando mai i toscani hanno avuto il codino? Stenterello ha la parolina liscia e rotonda, a càccola, dice «mamma mia», dice «gnamo, grullo», dice «la si tiri in làe, la mi faccia il piacere, la s'accomodi, la favorisca, servo suo». Servo suo? E quando mai i toscani hanno detto «servo suo»? Stenterello dice «billero». Billero? I toscani han sempre detto bischero. Stenterello, per farsi il segno della croce, si mette prima le dita in bocca: e quando mai i toscani si son fatti il segno della croce con la saliva? Ma nemmeno con lo sputo, come fanno a Firenze! Stenterello va in ciabatte: e quando mai i toscani sono andati in ciabatte? La ciabatta fa l'uomo ciabattone: e quando mai i toscani sono stati ciabattoni? E poi, la ciabatta è propria dell'uomo che ha le meline: e dove mai s'è visto un toscano con le meline? I toscani hanno le mele, e ci tengono: hanno le mele perfino le belle livornesi del quartiere della Venezia, benché siano le sole donne, in tutta la Toscana, a andare in ciabatte. E di qui nasce forse quel proverbio livornese che dice: «donna in ciabatte, mele basse».
«O che modi son coresti?» vociava Annibale.
«O che modi gli hanno a essere? son modi pratesi» rispondeva Bernocchino.
«Eh, son capitaho bene», diceva Annibale.
«Tu se' capitaho a Praho, e non potevi cascar meglio, ribatteva Bernocchino, o dove credevi d'esser cascaho? in Italia?»
«Perché? O Praho la'unn'è Italia!»
«Noe, che Praho la 'unn'è Italia!» gridava Bernocchino.
«O indo' l'è, vociava Annibale, se la 'unn'è in Italia?»
«Ell'è in Toscana!» rispondeva Bernocchino: e il pubblico sbottava a ridere, si spellava le mani, strepitava. Perché la storia d'Italia, in quegli anni, la conoscevano tutti, in Toscana, e lo sapevano tutti a memoria che in Italia nessuno ci può vedere, che nessuno ci vuole, e che gli italiani ci trattan da forestieri, perché han paura e soggezione dei toscani, perché n'hanno invidia e sospetto, e perché sarebbero il più felice popolo della terra se i toscani non fossero italiani. («Bada lì, diceva Bernocchino, come se fosse difficile essere italiani! A esser italiani tutti son boni: ci son riusciti perfino i piemontesi e i siciliani! ma provati a esser toscano, e pratese, se ti riesce!»)
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