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View Full Version : La scuola italiana



Volscian
10-01-2014, 03:34 PM
Non è internazionale, lo dicono i prof.

Intercultura è un’associazione che dal 1955 manda studenti delle scuole superiori italiane all’estero. Con la fondazione onlus cresciuta successivamente, ha deciso di interrogare 206 docenti dell’università e trecento docenti di scuola (media superiore) per chiedere loro com’è la scuola italiana. E come sono i suoi studenti. In particolare com’è la scuola e come sono gli studenti sotto l’aspetto dell’internazionalizzazione. Non si parla solo delle fondamentali lingue, ma di tutte quelle caratteristiche di profilo che fanno di un ragazzo italiano un giovane capace di immergersi nel mondo.

La risposta, registrata ed elaborata da Ipsos, è una sostanziale bocciatura. Siamo indietro rispetto al Nord Europa, dicono i prof che frequentano i ragazzi e i prof che li accoglieranno. Indietro per capacità critica e di soluzione dei problemi. Indietro, e questa è una novità, nella qualità del ragionamento e nella critica in autonomia. Su queste questioni sembravamo all’avanguardia, l’inchiesta dice che non è più così. Meglio, lo dicono i prof. E poi non miglioriamo nell’uso delle lingue straniere, a partire dal basic english.

Esistono anche aree di soddisfazione, nel dossier: l’abilità nell’utilizzo degli strumenti informatici e la capacità di relazionarsi e integrarsi con persone di culture diverse.

Per gli insegnanti sentiti c’è un problema nodale nello scontro tra medie superiori e università, la fase tra i diciotto e i diciannove anni. I docenti delle superiori sono mediamente di età media avanzata. Entrati nel mondo della scuola con un concorso che rifletteva altri tempi, rispecchiano una scuola non predisposta al cambiamento (lo stesso 57% dei docenti si dà un voto dall’1 al 5). E i vecchi prof sono in difficoltà a stare al passo di una generazione più giovane di professori universitari che, per riuscire a ottenere una cattedra, ha dovuto passare per anni di dottorato, esperienze internazionali, stesura di tesi e ricerche in lingua straniera. Il sistema scolastico va a due velocità: lo studente, in mezzo, si trova impreparato al “salto quantistico” richiesto nel passaggio da un sistema all’altro.

La scuola italiana appare incapace di cambiare, dicono i docenti d’ateneo, ma poi riesce a farsi promuovere sul campo. Non è al passo con i tempi, eppure è capace di fornire un’alta qualità d’insegnamento (il 19% dei docenti universitari dà un voto da 8 a 10, il 26% dà un 7 e il 23% la sufficienza) e di fornire alla società studenti istruiti. La qualità dei programmi di studio umanistici e la capacità di approfondimento culturale sono insiti nella scuola italiana.

Il nostro sistema scolastico d’istruzione di secondo grado, tuttavia, è indietro nella sua capacità di aprirsi a un livello più internazionale (bocciata dal 50%), soprattutto in virtù della cronica problematica della conoscenza delle lingue da parte degli insegnanti non di lingua (gli stessi prof, dotati di autocritica, si danno una valutazione insufficiente nel 78% dei casi). L’esperienza all’estero va fatta in qualsiasi momento. Stimola quelle capacità dove i ragazzi erano deficitari: l’autonomia, il senso di responsabilità, la capacità di prendere decisioni e affrontare le situazioni critiche, il senso critico. È un’esperienza a tutto tondo che permette a questi adolescenti di diventare adulti e pronti ad affrontare il mondo dell’università e quello lavorativo con le stesse competenze dei loro coetanei degli altri paesi. Alla fine il giudizio medio di insegnanti e docenti universitari sulla scuola italiana è insufficiente: voto, rispettivamente, di 5,6 e 5,1 (in una scala da uno a dieci).

Una scuola aperta al cambiamento, che vuole essere al passo con i sistemi scolastici più avanzati e positivamente valutati non può prescindere, in prima istanza, dal programmare uno scambio di buone pratiche con i sistemi scolastici di altri paesi. I docenti universitari consigliano di imparare a dare maggiore attenzione alle lingue straniere (25%) e a introdurre, nel solco dell’impostazione anglosassone, una maggiore attività pratica: ricerche sul campo, laboratori, tirocini. E’ da incentivare, per il 22% degli intervistati, la mobilità individuale e di gruppo. Bisogna puntare su un apprendimento basato sui valori etici: disciplina, rigore, meritocrazia.

Scuola e università, purtroppo, sono due sistemi formativi che viaggiano a due velocità su binari paralleli e non riescono a entrare proficuamente in contatto. Almeno per ora. Dalla ricerca emerge la mancanza di un passaggio di informazioni e competenze tra school e university: oggi prevalgono attività di marketing rivolte agli studenti per la scelta universitaria, quasi mai progetti di collaborazione.

Secondo i docenti universitari, l’adolescente tipo alla soglia dell’esame di maturità è sicuramente bravo nell’utilizzo degli strumenti informatici, uno smanettone, e ha sviluppato una grande capacità nel relazionarsi e integrarsi con altre culture, essendo sin da piccolo a contatto con coetanei immigrati. I nostri studenti hanno in nuce il germe del cambiamento richiesto, ma inevaso, alla scuola. Quello che manca, in una scuola superiore ancora troppo paternalistica, è il “libero arbitrio” e così quando l’università chiede ai ragazzi di diventare autonomi, avere senso di responsabilità, sviluppare una soglia minima di capacità di ragionamento e critica, c’è la caduta. La bocciatura arriva da parte di oltre il 50% degli intervistati.

All’interno di un sistema scolastico non aperto al cambiamento, internet e i computer, racconta la ricerca, stanno attuando silenziosamente quella rivoluzione democratica che può permettere ai nostri ragazzi di sviluppare un autonomia nello studio. Internet li ha abituati a informarsi e ad aggiornarsi e li sta abituando a ragionare in termini globali. Il pericolo più grande per le generazioni connesse è l’incapacità di concentrazione e attenzione (il 63% dei prof e il 71% dei docenti d’ateneo li boccia in questo senso).
Roberto Ruffino, segretario generale della Fondazione Intercultura (onlus) commenta: «Un soggiorno prolungato all’estero non produce solo competenze interculturali o l’apertura verso i problemi del mondo, produce una crescita complessiva della persona in quelle aree definite come i saperi essenziali per entrare nella vita attiva del XXI secolo: imparare a imparare, a progettare, a comunicare, a collaborare e partecipare, ad agire in modo autonomo e responsabile, a risolvere problemi, a individuare collegamenti e relazioni, ad acquisire e interpretare l’informazione. L’educazione interculturale è una conversione della mente, un nuovo modo di guardare al mondo».
http://www.repubblica.it/rubriche/la-scuola-siamo-noi/2014/10/01/news/la_scuola_italiana_non_internazionale_lo_dicono_i_ prof-97057617/?rss